(Abc) Da Goethe a Dickens, passando per Stendhal e Rilke, la grande bellezza di Roma rivive nelle pagine più famose dei grandi scrittori.
Nessuna città ha ispirato così tanto, per così tanto tempo, come Roma. Dagli antichi geografi ai poeti romantici, la città è stata una musa, un’ossessione e uno specchio di civiltà. Le voci di coloro che, prima dei turisti, erano pellegrini dell’arte, della storia e della bellezza, sono raccolte nella “Guida Letteraria di Roma”, illustrata anche con deliziose incisioni di maestri come Giovanni Battista Piranesi e Giuseppe Vasi. Questo libro non è solo un tour tra strade e monumenti, ma un viaggio a ritroso nel tempo attraverso le emozioni risvegliate – e ancora risvegliate – da quella che fu caput mundi, capitale del mondo, culla della civiltà occidentale.
La Città Eterna, con i suoi oltre 2.700 anni di storia, è stata molte cose: capitale imperiale, centro della cristianità, meta del Grand Tour, simbolo del Romanticismo. Ma, soprattutto, era una tela dove ogni scrittore proiettava i suoi sogni e le sue frustrazioni, tracciando con le sue impressioni i percorsi che il turismo segue oggi. Le sue parole, però, conservano una freschezza impossibile da replicare: quella di chi ha visto il Foro erboso o il Colosseo abitato, prima che l’archeologia Moderna ‘ricostruisse’ che tempo aveva offuscato.
Questa guida letteraria seleziona rigorosamente frammenti di opere chiave di sedici scrittori. Ecco alcuni dei look più lucidi, a partire da Strabone, geografo, storico e filosofo, noto principalmente per la sua opera “Geografia”. Ammirava la grandezza pragmatica di una città in continua trasformazione, evidenziando quella che è ancora oggi una caratteristica di Roma, le sue fontane: “L’approvvigionamento idrico dagli acquedotti è così generoso che si potrebbe dire che i veri fiumi scorrono attraverso la città e le fogne e in quasi ogni casa c’è canalizzazione dell’acqua e abbondanti fontane”. Per Strabone, Roma era un organismo vivente, sempre in costruzione.

L’ombra del suo passato
Questa vitalità, anche se erosa dal tempo, ha continuato ad avere un impatto sui visitatori. Quindici secoli dopo, Michel de Montaigne (1533-1592), filosofo, scrittore e politico francese, fu uno dei primi “viaggiatori Moderni” a confrontare la Roma della sua immaginazione con la realtà delle rovine. Nel suo “Diario del viaggio in Italia” (1580), Montaigne coglie la sua malinconia. Per lui, Roma era un’ombra del suo passato: “Questi piccoli segni della sua rovina erano stati conservati dalla fortuna, a testimonianza di questa infinita magnificenza, che né tanti secoli né tanti fuochi né il mondo intero ripetutamente cospirando, erano riusciti a spegnere completamente”.

Se Montaigne ci ha invitato a vedere Roma come un palinsesto dove ogni pietra racconta una storia di grandezza passata, è stato nel secolo illuminista, il Diciottesimo, quando Edward Gibbon, storico britannico famoso per la sua opera in sei volumi ‘History of the Decline and Fall of the Roman Empire’ (1776), ha affrontato la stessa idea da una profonda prospettiva storiografica. Per Gibbon, le rovine del Colosseo parlavano della grandezza di un impero caduto.
Con stile raffinato gli dedicò pagine indimenticabili, raccontando anche che”nell’anno 1332 una corrida, nello stile di quelle celebrate da mori e spagnoli, ebbe luogo nello stesso Colosseo”. La visione di Gibbon è quella di uno storico che vede nelle rovine di Roma la testimonianza di cicli storici, di boom e bust, una lezione perenne inscritta nell’architettura stessa.

Ma Roma era anche, per altri, una fonte di conoscenza vitale e personale. Per Johann Wolfgang von Goethe, il suo “Viaggio in Italia” (iniziato nel 1786) fu molto più di un semplice tour; era, secondo le sue stesse parole, la sua “università”: “Certo, è veramente un’università: chi l’ha vista, ha visto tutto”. Roma rappresentò per lui una profonda immersione nella cultura classica che ha nutrito il suo spirito e il suo lavoro. Goethe descrisse con meraviglia alcuni dei luoghi più emblematici di Roma: “In San Pietro mi sono reso conto che l’arte, come la natura, può superare ogni paragone”. L’autore del Faust ha trovato nella Città Eterna una fonte inesauribile di ispirazione e conoscenza. Nessuno resiste al suo invito a una passeggiata notturna romana: “Chi non ha attraversato Roma sotto la luna piena non ha idea della bellezza che ha perso”.
La Sindrome di Stendhal
Precisamente, François-René de Chateaubriand, uno dei precursori del romanticismo, che viaggiò in Italia tra il 1803 e il 1804, scrive estaticamente della sua passeggiata attraverso Roma al chiaro di luna. Lo scrittore, politico e diplomatico francese pubblicò il suo “Viaggio in Italia” nel 1826. Il volume è una serie di lettere ai suoi amici che avrebbero visto la luce solo nel 1826. In essi Chateaubriand mostrava la sensibilità di un romantico innamorato della città: “Chiunque si dedichi esclusivamente allo studio dell’antichità e delle arti, o che non sia più soggetto ad alcun legame, dovrebbe venire a vivere a Roma”.

La visione romantica di Roma che ha affascinato Chateaubriand ha trovato eco in un altro gigante delle lettere francesi: Stendhal. Fu un viaggiatore ricorrente a Roma dal 1815 ed è l’autore della famosa sindrome che porta il suo nome, sopraffatto dal sovraccarico di bellezza quando visitò la Basilica di Santa Croce a Firenze nel 1817. In’ Journal ‘ha raccolto le sue esperienze intime e i suoi pensieri su Roma, che per lui era la metafora dell’ “amore perfetto”. Ad ogni monumento ha espresso il suo stupore e ammirazione: “Che dire del Colosseo! Lo spirito è confuso dalla sua grandezza. Nient’altro che queste maestose rovine può trasmettere un’idea più chiara del potere romano”.
Il Colosseo di Dickens
Mentre Stendhal fu sopraffatto dalla grandezza della bellezza romana, non tutti gli autori cedettero alla stessa euforia. Il romanziere Charles Dickens visse in Italia tra il 1844 e il 1845 e fu a Roma durante il Carnevale e la Settimana Santa, pubblicando “Immagini d’Italia” nel 1846. Dickens non si lasciò intossicare dall’arte, né dalla Basilica di San Pietro: “Non provai alcuna emozione particolare (…) Ho avuto un senso molto più grande di mistero e meraviglia nella Cattedrale di San Marco a Venezia”. Il romanziere inglese ha espresso il suo “shock” entrando nel Colosseo: “La sua solitudine, la sua bellezza inquietante e la sua profonda desolazione colpiscono il visitatore non appena entra”.
Un nuovo look

Oltre a quelli citati, la guida letteraria di Roma raccoglie anche le emozioni di altri scrittori: Tobias Smollett, Percy Bysse Shelley, James Fenimore Cooper, Herman Melville, Pedro Antonio de Alarcón, Mark Twain, Henry James, Hugh Macmillan, e si conclude con Rainer Maria Rilke. La lettura di quest’opera è un invito a camminare per le vie della Città Eterna con uno sguardo nuovo, quello che questi geni letterari ci offrono. Ci permette non solo di visitare i loro monumenti, ma anche di capire le emozioni e le riflessioni che hanno provocato in menti così disparate come quella di un geografo greco, di un saggista francese o di un romanziere americano.