(New York Times) La seconda stagione è arrivata su Netflix, riprendendo il filo della serie sudcoreana che nel 2021 aveva sconvolto il pubblico di tutto il mondo con il suo mix di critica sociale, estetica innovativa e violenza grafica.
Il nuovo capitolo diretto da Hwang Dong-hyuk si presenta più come una ripetizione visiva che come un’espansione narrativa. Il protagonista Gi-hun (interpretato da Lee Jung-jae), vincitore della prima stagione, torna nel crudele gioco con un nuovo obiettivo: distruggere il sistema che l’ha creato. Tuttavia, la trasformazione di Gi-hun da perdente affascinante a vendicatore incupito lo rende meno interessante, nonostante l’attore mantenga una performance solida. La trama si sviluppa lentamente, riproponendo dinamiche già viste, come il dilemma morale dei partecipanti e la lotta per sopravvivere in un sistema in cui il fallimento significa morte.
La struttura narrativa del nuovo ciclo di episodi sembra volutamente speculare alla prima stagione, offrendo al pubblico ciò che già conosce e apprezza: giochi mortali, design accattivante e personaggi che incarnano le sfumature del capitalismo estremo. Tra i nuovi concorrenti ci sono figure che riflettono problemi contemporanei, come un rapper arrogante o un influencer fallito nel mercato delle criptovalute, ma queste aggiunte non riescono a portare spunti realmente freschi.

Bella soprattutto la parte visiva
Un tentativo di approfondimento è dedicato ai retroscena del personale che gestisce il gioco, in particolare al misterioso Front Man (Lee Byung-hun). Anche qui, però, le rivelazioni si rivelano superficiali, lasciando il personaggio avvolto in un’aura di mistero che non evolve. Allo stesso modo, subplot come quello di un poliziotto alla ricerca degli organizzatori o di una rifugiata nordcoreana rimangono abbozzati e privi di un reale impatto.
Nonostante le carenze narrative, Squid Game 2 continua a colpire per la sua estetica visiva. I set sono vibranti e carichi di simbolismo, trasformando innocenti giochi d’infanzia in scenari distorti di disperazione adulta. Memorabili sono le scene ambientate in un parco a tema per bambini, che riflettono in modo crudele la dicotomia tra il divertimento superficiale e la sofferenza nascosta.


Manca l’evoluzione
Ciò che manca davvero è una vera evoluzione della storia. A differenza di opere simili come Hunger Games, dove ogni capitolo esplora più a fondo le dinamiche della società distopica, Squid Game 2 si accontenta di replicare la formula vincente senza rischiare nuovi territori. La serie accenna a una critica sistemica più ampia, ma non la sviluppa. La sensazione è che la narrazione si blocchi, proprio come nel gioco di “Un, due, tre, stella” che caratterizza l’universo della serie.
In conclusione, la seconda stagione di Squid Game offre un intrattenimento familiare e visivamente accattivante, ma tradisce le aspettative di chi sperava in un approfondimento tematico. Resta da vedere se la serie saprà andare oltre il ripetersi di sé stessa, o se continuerà a limitarsi a una spettacolarizzazione del suo messaggio. Come suggerisce un antagonista: “Il gioco non finirà finché il mondo non cambierà.” Ma forse, per Squid Game, il cambiamento è ancora lontano.