(Les Echos) Giovane, ricco e folle di lusso, Nerone dilapidò la fortuna di Roma con opere faraoniche, svalutò la moneta, impoverì l’Impero e si circondò di banchetti e follie.
Nerone, ultimo imperatore della dinastia Giulio-Claudia, è diventato il simbolo della follia dei potenti: un uomo ricco oltre ogni immaginazione, che trasformò l’Impero romano in un palcoscenico personale, dilapidando fortune, provocando inflazione e spingendo Roma sull’orlo della crisi economica. La sua storia, oggi più attuale che mai, è quella di un miliardario al potere, circondato da una corte ossequiosa, che ha scambiato l’arte per tirannia e il lusso per legittimazione.
Figlio di Domizio Enobarbo e di Agrippina la Giovane, Nerone – all’anagrafe Lucio Domizio – nacque nel 37 d.C. destinato, secondo una leggenda, a una gloria sfavillante: la levatrice avrebbe esclamato che il primo raggio del sole lo aveva colpito in fronte alla nascita. Figlio di un aristocratico violento e di una madre ambiziosa, fu adottato dallo zio Claudio, che Agrippina sposò per assicurare al figlio il trono. A soli 17 anni, nel 54 d.C., Nerone divenne imperatore, dopo che il fratellastro Britannico fu misteriosamente eliminato.

Contava solo l’estetica
All’inizio, il suo regno fu ben accolto: giovane, carismatico, guidato dal filosofo Seneca e dal prefetto Burrhus, Nerone introdusse riforme gradite al Senato e al popolo. Ma ben presto, il suo vero interesse emerse: non la politica, non la guerra, ma l’estetica, lo spettacolo, il lusso sfrenato.
Il suo impero, uno dei più ricchi del mondo antico, con province floride come l’Egitto, l’Asia Minore e la Gallia, gli mise a disposizione il fiscus (il tesoro imperiale) e l’aerarium (il tesoro pubblico). Ma non bastò. Per finanziare il suo stile di vita, aumentò le tasse, confiscò beni di senatori accusati di complotto, spogliò templi in Grecia e in Asia, e addirittura deprezzò la moneta: nel 64 d.C., ridusse il peso dell’oro e dell’argento nelle monete e introdusse bronzo nei denari. Il risultato? L’inflazione. Come a Pompei testimoniano i ritrovamenti, le monete più pure venivano tesaurizzate, mentre quelle svalutate circolavano: la “cattiva moneta caccia la buona”, già allora.

Dalla Domus Aurea al suicidio
Il colpo di grazia fu la Domus Aurea, la sua villa fastosa di oltre 80 ettari, costruita dopo l’incendio di Roma del 64 d.C. Un complesso di padiglioni decorati con mosaici d’oro, affreschi, soffitti mobili in avorio da cui piovevano fiori e profumi. All’ingresso, un colosso bronzeo di oltre 30 metri lo ritraeva come dio. I banchetti duravano giorni, con pietanze esotiche come lingue di fenicottero e perle sciolte nell’aceto. I nobili erano obbligati a recitare, cantare o correre coi carri spesso vinti da Nerone, grazie a giudici corrotti.
Il suo favorito, Sporo, un giovane castrato, fu “sposato” in abito da sposa e ricoperto di doni imperiali. Tutto doveva “costare caro”: reti da pesca d’oro, coperte babilonesi da 4 milioni di sesterzi, muli ferrati d’argento.
Ma la popolarità svanì. Le spese folli, le espropriazioni, l’inflazione e la megalomania lo resero nemico pubblico. Nel 68 d.C., una rivolta lo costrinse al suicidio assistito: un liberto gli tenne la mano mentre si uccideva, incapace di fare da solo ciò che aveva tante volte recitato sul palco.