(Paris Match) In Corea del Sud si consuma un paradosso gastronomico, un fenomeno che mescola voracità, solitudine e business digitale.
Nato nel 2009, il mukbang, diventato trend, consiste nel filmarsi mentre si ingurgitano quantità industriali di cibo, trasformando il pasto in uno spettacolo virale. Un successo globale, che però nasconde ombre pesanti: disturbi alimentari, obesità e un legame tossico con la solitudine di una società iperconnessa.
Ami-Ami, 32 anni, divora 8.000 calorie tre volte a settimana davanti a milioni di follower. “I fan si rilassano ascoltandomi masticare”, spiega, sfruttando tecniche ASMR per amplificare ogni rumore. Come lei, molti mukbanger riempiono il vuoto di una nazione dove quasi metà della popolazione vive sola, in micro-appartamenti urbani. Il governo arriva a pagare i giovani per invitarli a uscire di casa. “Grazie a questi video, mi sento meno solo”, confessa Choongsik, trentenne di Seul, che sceglie i pasti in base ai contenuti dei suoi influencer preferiti.
Justin, 43 anni, 133 chili, è un contabile che lavora 60 ore a settimana. Le sue uniche evasioni? Le abbuffate virtuali. “Mi aiutano a mangiare meno e a scoprire posti dove non potrei mai andare”, dice, mentre la sua Apple Watch monitora il rischio di collasso.

Uno sfogo a caro prezzo
In un Paese ossessionato dalla competizione e dal giudizio altrui, il mukbang diventa una valvola di sfogo. Ma il prezzo è alto: obesità, diabete e, per le donne, persino infertilità, come nel caso di Sinue, costretta a ritirarsi dopo anni di dolci davanti alla telecamera.
I guadagni sono stellari (fino a 85.000 euro al mese), ma la concorrenza è spietata. Per mantenere la linea, Ami-Ami digiuna tra un video e l’altro, mentre altri ricorrono al vomito. Intanto, il fenomeno si globalizza: dal Cambogia agli USA, il mukbang nutre anche economie locali, svuotando il portafogli dei pionieri coreani. “Donne più giovani e belle mi rubano follower”, ammette Ami-Ami, in perenne ansia da performance.

Mangiare da soli, un atto di ribellione
In una cultura dove il pasto condiviso è sacro, pranzare in solitudine diventa un gesto di libertà per le nuove generazioni. “Vivo da solo e mi piace”, dice Chongsiik, 26 anni, che ordina cibo a domicilio seguendo i menu dei mukbanger. Ma per molti, come Justin, restare connessi è un obbligo: “Se non rispondo alle mail di sera, finisco nei guai”.
Tra piatti fumanti e like, il mukbang è lo specchio di una Corea divisa tra tradizione e modernità, dove il cibo non sazia più la fame di connessione umana.