(Aujourd’hui) Dopo la caduta di Assad, il calcio siriano riparte tra mille incertezze. Epura la vecchia guardia e sogna una rinascita libera da corruzione e nepotismo.
Il calcio siriano tenta una difficile ripartenza. Dopo cinque mesi di stop forzato, la Premier League riprende. Un evento tutt’altro che banale, che segna la fine di un’era e l’inizio di un capitolo incerto per uno sport da tempo ostaggio di corruzione e nepotismo. La caduta del regime di Bashar al-Assad, lo scorso 8 dicembre 2024, per mano di Ahmed al-Chareh e dell’organizzazione islamista Hayat Tahrir al-Sham (HTS), ha scosso il Paese e con esso anche il suo movimento calcistico.
Lo stadio Al-Fayhaa di Damasco, ai piedi del monte Qasioun, è stato teatro di un incontro dal valore altamente simbolico. Lo scorso aprile, il club Al-Jaish, storico affiliato al regime di Assad, ha affrontato l’Omaya di Idlib, roccaforte dell’opposizione durante la guerra civile nel nord della Siria. Un’immagine, questa, che da quattordici anni non si vedeva in campo. Nonostante l’aria calda e la scarsa affluenza di tifosi, la partita ha rappresentato un fragile ponte tra due anime di un paese ancora profondamente diviso.

Il calcio, specchio di un regime corrotto
Il calcio siriano, per anni, è stato un’estensione del potere del regime. La federazione, sotto il controllo di Mezoued, cugino di Assad, era un covo di corruzione. I giocatori venivano pagati solo per “lavare i soldi”, ha rivelato una fonte anonima, aggiungendo che il 95% del budget federale era destinato ai club della famiglia Assad, mentre il restante 5% doveva bastare per tutte le altre 30 squadre.
La nazionale siriana, soprannominata “le aquile di Qasioun”, era il fiore all’occhiello di Mezoued, spesso costretto a giocare all’estero a causa delle sanzioni internazionali. Tuttavia, le “vittorie” erano spesso frutto di partite truccate. Quando la Siria vinceva una partita, la federazione pagava l’altra squadra. Un sistema marcio che ha impedito al calcio siriano di esprimere il suo vero potenziale.

La sfida della ricostruzione
Con la caduta di Assad, anche la federazione calcistica è stata epurata. Il nuovo ministro dello sport, Abdullah Homsi, ha promesso un rinnovamento totale, concentrandosi sulla lotta alla corruzione e sulla creazione di “nuove regole e una nuova governance”. Il cambio di maglia della nazionale, dal rosso al verde (colore della rivoluzione), simboleggia questa transizione.
La ricostruzione, tuttavia, si annuncia ardua. La federazione non ha più i mezzi per pagare i calciatori siriani che giocano all’estero, e quelli che militano in Siria non sono retribuiti. A rendere la situazione ancora più precaria, il selezionatore spagnolo José Lana, nominato nell’agosto 2024, si rifiuta per ora di venire in Siria. Una sua eventuale rescissione contrattuale costerebbe alla federazione 3,5 milioni di euro, una somma impensabile considerando che i dipendenti federali hanno ricevuto solo due mesi di stipendio da luglio.