(El Pais) Ricercatori tedeschi hanno individuato nell’amigdala il centro neurologico della generosità umana. La capacità di essere altruisti dipende da un’area grande quanto una mandorla.
La chiave di tutte le virtù umane, secondo Cartesio, è la generosità. Inizia come una passione —come l’amore e l’odio, lo stupore e il desiderio, la gioia e la tristezza—, solo che generata dal pensiero più che dalle viscere. Per esempio, se pensi intensamente al libero arbitrio e al suo buon uso, finisci per sviluppare la virtù della generosità, un’abitudine dell’anima che costituisce l’ideale della perfezione etica.
La natura della generosità, tuttavia, ha già trasceso l’ambito della filosofia per diventare una questione scientifica. In cosa consiste la generosità lì dentro il nostro cranio? A cosa serve, e per cosa si è evoluta? Perché ci sono persone più generose di altre, e perché una sola persona diventa più o meno generosa in funzione delle sue circostanze? Cartesio non ne aveva la minima idea, ma noi ora ce l’abbiamo. In scienza non ci sono autorità, solo fatti e argomenti compatibili con essi.

Tutto sta nell’amigdala
La chiave sta nell’amigdala (niente a che vedere con quella della gola), un piccolo nucleo di neuroni situato nelle profondità del lobo temporale del cervello. Ci arriveresti infilando una punta attraverso l’orecchio per alcuni centimetri. Ne hai una da ogni lato della testa, ed entrambe sono intimamente correlate alla paura, all’ansia, all’aggressione e alle altre reazioni emozionali. Tobias Kalenscher, professore di psicologia comparativa all’Università Heinrich Heine di Düsseldorf, e tre colleghi hanno appena dimostrato che è anche la sede cerebrale della generosità, o della sua mancanza.
È difficile che un incidente o un tumore danneggino entrambe le amigdale contemporaneamente, ma è esattamente quello che fa la malattia di Urbach-Wiethe. Il danno è così specifico che non colpisce nemmeno tutta l’amigdala, ma solo la sua zona basolaterale, però sì, in entrambi gli emisferi cerebrali contemporaneamente. Kalenscher e i suoi colleghi hanno esaminato il comportamento di cinque pazienti di Urbach-Wiethe nel cosiddetto gioco del dittatore.

Il gioco del dittatore
Nel gioco del dittatore, sviluppato da Daniel Kahneman negli anni Ottanta, il partecipante (o dittatore) decide quanto denaro tenere per sé e quanto dare ad altre persone che sono più o meno vicine a lui. Il modo in cui diminuisce il denaro donato man mano che si riduce la relazione del dittatore con i beneficiari —da un familiare stretto a un tipo che passa per strada— è una misura della generosità del dittatore. Ed è chiaramente compromessa nei pazienti di Urbach-Wiethe. Possono conservare la loro disposizione a finanziare la loro famiglia più diretta, ma perdono completamente quella di aiutare le persone un po’ più lontane.
Gli umani non siamo così speciali come ci piace credere. Nei topi e nelle scimmie, la zona basolaterale dell’amigdala è pienamente coinvolta nell’assegnare un valore a qualsiasi ricompensa. Non solo alle ricompense che riceve l’individuo, ma anche a quelle che ricevono gli altri. Negli umani, la stessa struttura minuscola è coinvolta nella fiducia, nell’empatia, nel prendere decisioni morali e nell’altruismo.