(New York Times) La tecnologia prende il posto degli occhi umani sulla terra battuta: tra proteste, paradossi e un nuovo modo di percepire il gioco.
Il tennis sta vivendo una rivoluzione silenziosa ma profonda: l’introduzione del sistema elettronico di chiamata delle linee (ELC) sui campi in terra battuta, una novità che sta destabilizzando abitudini radicate e alimentando polemiche. A Madrid, durante l’Open, diversi giocatori hanno contestato decisioni prese dal sistema Hawk-Eye, preferendo la “vecchia scuola” delle impronte visibili sulla terra. Una frattura tra tecnologia e percezione umana che ha unito nomi come Alexander Zverev, Aryna Sabalenka e Arthur Fils in un coro di perplessità e frustrazione.
L’episodio più emblematico è stato quello di Alex Eala, giovane talento filippino, che dopo aver perso contro Iga Świątek ha chiesto incredula spiegazioni su un’impronta visibilmente “out”, ma considerata “in” dall’ELC. Il giorno dopo, lo stesso è capitato a Fils, che ha parlato di “furto” sportivo. Eppure, quella che per anni è stata considerata una prova fisica affidabile — l’impronta sulla terra rossa — è oggi messa in discussione dalla scienza.

La terra non è “neutrale”
Il sistema Hawk-Eye, già adottato in Australian Open, US Open e presto anche a Wimbledon, è stato esteso al circuito ATP e WTA, compreso il Roland Garros, unico Slam ancora fedele ai giudici di linea. Ma la terra battuta non è un terreno neutrale: il rimbalzo della palla, la consistenza del suolo, le condizioni atmosferiche e la compressione dell’impatto rendono le impronte ingannevoli. Eppure, i tennisti continuano a fidarsi dei propri occhi — e dei segni che vedono davanti a sé.
Zverev e Sabalenka sono arrivati a fotografare le impronte con il cellulare, rischiando sanzioni per comportamento antisportivo. Ma per molti, come la bielorussa, l’ELC rappresenta comunque un miglioramento: almeno la macchina non ha paura di sbagliare, come può accadere a un giudice umano. Un punto di vista condiviso anche da Madison Keys e Denis Shapovalov, che preferiscono l’imparzialità della tecnologia all’incertezza soggettiva delle decisioni umane.

Il ritorno dei nostalgici
Non mancano però i nostalgici. Arthur Fils ha invocato il ritorno ai giudici di linea, lamentando l’assenza di controllo da parte dell’arbitro di sedia. Ma gli stessi arbitri, in passato, venivano messi sotto accusa per errori basati su impronte mal interpretate. È un corto circuito di responsabilità e aspettative che mette alla prova la fiducia dei giocatori.
Alla fine, si tratta di accettare un nuovo paradigma: il tennis non è più uno sport interpretato dagli occhi umani, ma misurato da algoritmi e margini d’errore millimetrici. Come ha detto Świątek con pragmatismo, «accetto quello che c’è». Ma per molti, la vera sfida non è battere l’avversario, ma imparare a non credere più a ciò che vedono. E forse, nel gesto di ignorare un’impronta sulla terra, c’è tutta la fatica di una generazione che deve dimenticare ciò che ha sempre saputo.