Il ritorno del piano sequenza

(El Pais) Una delle tecniche più antiche del cinema è tornata prepotentemente sotto i riflettori: il piano sequenza tra virtuosismo tecnico e valore narrativo.

Non è un caso isolato, ma una vera e propria tendenza che abbraccia cinema e serie tv, dagli episodi di “Adolescence” al film “8” di Julio Medem, dalla nuova stagione di “Separation” al fantasmatico “Presenza” di Steven Soderbergh. Anche progetti come “Better Man, Daredevil: Born Again” e “The Studio” scelgono di aprirsi con lunghe riprese senza tagli, attirando l’attenzione di spettatori e cinefili.

Già i fratelli Lumière…

Ma il piano sequenza non è affatto una novità. I fratelli Lumière giravano già senza tagli, mostrando piccoli frammenti di vita reale. Alfred Hitchcock cercò di simulare questa continuità con “Nodo alla gola” nel 1948, superando i limiti tecnici dell’epoca con astuzia. Oggi, grazie al digitale, le possibilità sono infinite: da “Birdman” di Iñárritu a 1917 di Sam Mendes, passando per l’illusione continua di “Gravity” di Cuarón.

Per molti registi, il piano sequenza è “la forma più organica di narrazione”, come sostiene José Luis García Berlanga. La realtà si vive in sequenza, senza tagli, ed è questo senso di immediatezza e autenticità che la tecnica trasmette. Ma attenzione al rischio di virtuosismo fine a sé stesso: “La cosa principale è che non sia evidente”, avverte Berlanga, richiamando alla naturalezza del racconto.

Tecnica e sentimento

Serie come “The Studio” ironizzano sulla tecnica, definendola quasi un’esibizione narcisistica del regista. Eppure, per molti è “il cinema definitivo”, capace di fondere tecnica e sentimento. Seth Rogen lo difende: permette di seguire l’evoluzione emotiva di un personaggio in modo continuo, senza interruzioni, da “Figli degli uomini” a “Quei bravi ragazzi”.

Dietro questi piani sequenza si nasconde un lavoro tecnico e attoriale titanico. In “Adolescence”, ogni episodio è stato girato dieci volte, coinvolgendo centinaia di comparse, salti da finestre e riprese con droni. È la cosa più vicina al teatro dove una sequenza di 45 minuti trasmette stanchezza e intimità. L’errore è sempre dietro l’angolo, ma l’energia è unica.

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