(Le Figaro) I registi hanno raccontato la figura dei pontefici tra satira, thriller e introspezione spirituale.
Nel corso degli ultimi decenni, la figura del papa ha assunto un ruolo sempre più centrale nel cinema, evolvendosi da semplice rappresentazione di potere ecclesiastico a simbolo complesso e poliedrico, capace di riflettere tensioni spirituali, politiche e sociali.
Il recente aumento d’interesse verso pellicole come Conclave (2024) di Edward Berger e I due papi (2019) di Fernando Meirelles, coinciso con la morte di papa Francesco, ne è la testimonianza. La prima, un thriller teso e realistico con Ralph Fiennes, ha visto un’impennata del 283% di visualizzazioni; la seconda, un biopic intimo, ha registrato un aumento del 417%.

I primi film a fine anni ‘60
Storicamente, il cinema ha tardato ad affrontare la figura papale. Fino agli anni ‘60, il pontefice appariva solo marginalmente, mentre protagonisti erano più spesso preti o cardinali, come in La legge del silenzio di Hitchcock. È con Le scarpe di san Pietro (1968) che il papa diventa figura centrale: Anthony Quinn interpreta un vescovo liberato dalla Siberia, eletto al soglio pontificio in un contesto geopolitico turbolento. Visionario, anticipava l’ascesa di Giovanni Paolo II.
Negli anni ‘70 e ‘80, il papa viene spesso utilizzato come veicolo critico nei confronti della Chiesa. Fellini, Ken Russell e Renzo Arbore lo collocano in contesti grotteschi e surreali, rivelando i misteri del Vaticano e le sue dinamiche di potere. Clamoroso il caso de Il Pap’occhio (1980), satira pungente che ironizza sulla creazione di una TV vaticana. Persino Il Padrino – Parte III di Coppola inserisce la Santa Sede in trame di mafia e finanza, rifacendosi alla reale crisi della Banco Ambrosiano.

Da Costa Gavras a Moretti
Negli anni 2000, il cinema vira verso una rappresentazione più umana e spirituale. Amen di Costa-Gavras critica l’inazione di Pio XII durante l’Olocausto; Angeli e Demoni di Ron Howard trasforma il Vaticano in un campo di battaglia simbolico tra scienza e fede. Ma è Habemus Papam (2011) di Nanni Moretti a rompere gli schemi: un papa incapace di affrontare il proprio ruolo, fuggitivo e smarrito, incarna l’inadeguatezza dell’individuo moderno di fronte al potere.

E poi c’è Sorrentino
Con l’avvento delle serie TV, Paolo Sorrentino rivoluziona l’immagine papale con The Young Pope (2016) e The New Pope (2020). Jude Law è un pontefice giovane e enigmatico, in netta contrapposizione con la tradizione missionaria di Giovanni Paolo II. Il papa diventa così metafora della crisi identitaria e della solitudine del potere.
A coronamento, Il papa Francesco – Un uomo di parola (2018) di Wim Wenders offre un ritratto documentaristico del pontefice argentino, moderno e scomodo, attento a temi come povertà, omosessualità e pedofilia. L’interesse per la figura papale, oggi più viva che mai, non accenna a diminuire. Secondo il domenicano Philippe Jeannin, registi come Almodóvar o Scorsese potrebbero presto raccogliere la sfida di raccontare un papa in equilibrio tra fede, fragilità e contemporaneità.