Hai voglia di un “Hemingway”?

(Financial Times) Amara evoluzione dei cocktail resi famosi dalle celebrità che ne hanno decretato il successo. Ora nessuno ha i diritti per chiamare un cocktail “Swift Sour” o “Timothée Martini”.

Ieri sera c’era Charlie Chaplin in salotto. E anche Hemingway e Shirley Temple. O, meglio, le loro versioni liquide. Tutti e tre, al culmine della fama, hanno avuto cocktail a loro dedicati. E sebbene loro siano scomparsi da tempo, continuano a vivere nell’arte e in bicchieri pieni di gin, granatina e rum. L’età d’oro dei cocktail delle star si colloca tra le due guerre mondiali: un’epoca in cui si brindava a première, eventi di Stato e icone del cinema.

Nel 1920, il Waldorf-Astoria di New York onorò Chaplin con un drink dolciastro a base di brandy all’albicocca, sloe gin e lime. Non c’è prova che l’attore l’abbia mai assaggiato, ma il cocktail è sopravvissuto. Più raffinato il preferito della seducente Jean Harlow: rum bianco e vermouth rosso in parti uguali, con un tocco agrumato e, talvolta, un goccio di bitter all’arancia.

La giovane Shirley Temple, stufa della soda alle feste hollywoodiane, chiese al ristorante Chasen’s di Beverly Hills un cocktail analcolico: granatina allungata con ginger ale o soda al limone-lime, una spruzzata di agrumi e l’immancabile ciliegina. Oggi la versione imbottigliata di Black Lines si presta perfettamente anche per party adulti.

L’Avana era il rifugio col proibizionismo

Durante il proibizionismo americano, L’Avana era il rifugio delle star assetate. Qui nacquero due classici: il Mary Pickford, creato all’Hotel Nacional di Cuba per l’attrice e il marito Douglas Fairbanks (e forse Chaplin), con due terzi di succo d’ananas, un terzo di rum Bacardi e granatina (o maraschino). A Londra, il Double Standard propone una variante affumicata con rum Diplomático e ananas affumicato, mentre a New York il Bedford Stone Street punta sul liquore alle bacche di sorbo.

Hemingway, frequentatore assiduo dell’El Floridita, ispirò il “Papa Doble”: doppio rum, lime, pompelmo e maraschino al posto dello zucchero. Ancora oggi, accanto alla sua statua in bronzo, si può sorseggiare una versione meno potente.

Quante facce ha il Martini

Il Martini ha generato molte varianti celebri. Tra queste, il Gibson Martini con cipolline sottaceto, forse dedicato all’uomo d’affari Walter DK Gibson o all’illustratore Charles Dana Gibson, creatore delle prorompenti “Gibson Girls”. Secondo il barman Dick Bradsell, “le cipolline simboleggiano i seni candidi delle donne disegnate da Gibson… sempre due, per cortesia.”

E se un cocktail non basta, perché non dare il proprio nome a un intero bar? Il Ritz di Parigi, rifugio di Hemingway e Fitzgerald, ribattezzò la sua lounge “Bar Hemingway” nel 1994. Fitzgerald ha un bar omonimo all’Hôtel Belles Rives, dove soggiornò dopo Il grande Gatsby (che celebra i 100 anni nel 2025 con eventi a tema e Gin Rickey a volontà).

La fine dei cocktail-tributo

A Cannes, il rinnovato Palm Beach ospita il “Jean-Paul Member’s Bar”, omaggio a Belmondo. Qui i cocktail evocano il cinema anni ’50, con richiami a Lino Ventura e alle spiagge di Brigitte Bardot. Oggi le etichette firmate dalle star abbondano, ma i cocktail-tributo sembrano estinti. Dove sono i Swift Sour, i Timothée Martini o gli Eilish Daiquiri? Quello che era un omaggio è diventato un grattacapo legale.

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