Grattacielo alto 2.000 metri

(El Mundo) Un grattacielo alto due chilometri, più del doppio del Burj Khalifa di Dubai, potrebbe presto diventare realtà a Riyadh, in Arabia Saudita. Ma si teme un altro monumento alla megalomania.

Lo studio dell’architetto britannico Norman Foster, incaricato del progetto nel 2024, ha ora avviato una nuova fase: sei grandi imprese edili statunitensi e britanniche sono in competizione per aggiudicarsi i lavori, valutati inizialmente a 4,6 miliardi di dollari (circa 4.600 milioni di euro), cifra già salita a 5.000 milioni nel 2025.

Annunciata con fanfare dal Fondo di Investimento Pubblico saudita (PIF), la torre mira a superare ogni record architettonico esistente. Tuttavia, molti interrogativi rimangono aperti: la location esatta non è stata ancora rivelata (si parla di un’area vicino all’aeroporto King Salman, anch’esso in costruzione sotto la direzione di Foster), e non è chiaro se ospiterà uffici, residenze o strutture turistiche.

Un progetto da record (e da dubbi)

Lo scetticismo è forte. A Dubai, interi piani del Burj Khalifa sono ancora vuoti dopo 18 anni, e la Torre di Jeddah, progettata per raggiungere il chilometro d’altezza, è ferma da un decennio a 317 metri. Ciononostante, il PIF procede spedito, coinvolgendo colossi come le americane Aecom, Bechtel, Jacobs, Parsons e Turner, e la britannica Mace.

Perché l’Arabia Saudita punta su questa megastruttura? Tre fattori spingono il regno verso questa sfida:

Ripresa economica: dopo due anni di stagnazione, il PIL saudita è tornato a crescere (+3,3% nel 2024), sostenuto dal prezzo stabile del petrolio e da massicci investimenti in infrastrutture.

Diversificazione: il PIF sta finanziando cinque gigaprojects (tra cui Neom, The Line e Qiddiyah) per ridurre la dipendenza dal greggio. La torre, sebbene non inclusa ufficialmente, rientra in questa strategia di immagine.

Prestigio geopolitico: Mohammed bin Salman vuole presentare il Paese come potenza tecnologica e turistica, in vista anche dei Mondiali 2034.

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