(Bbc) Un viaggio tra poesie, reperti e testimonianze che svelano come le donne del mondo antico vivevano il sesso, tra stereotipi misogini e voci autentiche.
Nell’immaginario collettivo, l’antichità ha spesso raccontato le donne attraverso la lente maschile: figure angelicate e caste, oppure creature insaziabili e viziose. La storica Daisy Dunn, nel suo libro “The Missing Thread”, tenta di restituire un’immagine più complessa, ricostruendo il pensiero femminile sul sesso attraverso frammenti, testimonianze poetiche e reperti archeologici.
Già nel VII secolo a.C., il poeta greco Semonide di Amorgo classificava le donne in categorie animalesche: dalle pigre “donne-maiale” alle furbe “donne-volpe”, fino alle “donne-asino”, additate per la loro presunta promiscuità. Una caricatura misogina che, tuttavia, rivela più le paure maschili che la realtà femminile. La vera domanda resta: quanto erano davvero interessate al sesso le donne del mondo antico?
A offrire una risposta autentica è Saffo, poetessa di Lesbo, capace di descrivere con intensità palpabile i sintomi dell’innamoramento: cuore in tumulto, tremori, sudore freddo. Nei suoi versi emerge un desiderio che non conosce vergogna. Alcuni frammenti alludono persino a oggetti sessuali, come gli olisboi (antenati dei moderni sex toys), raffigurati anche su vasi e utilizzati in rituali di fertilità. Non sorprende che alcune donne fossero sepolte con simboli erotici, come accadeva tra gli Etruschi, la cui arte funebre celebrava senza pudore l’unione dei corpi.

Sessualità mercificata
Ma non tutte le tracce provengono da poetesse. Le case chiuse di Pompei, con le loro mura tappezzate di graffiti, testimoniano una sessualità mercificata e sorvegliata dallo sguardo maschile. Eppure, alcune cortigiane trasformarono quel guadagno in memoria eterna: Polyarchis, ad esempio, finanziò una statua di Afrodite, mentre Doricha lasciò in dono utensili monumentali al santuario di Delfi. Un modo per sottrarsi all’anonimato che inghiottiva la maggior parte delle donne.
Anche gli autori uomini, talvolta, lasciarono intravedere una prospettiva femminile. Aristofane, nella commedia Lisistrata (411 a.C.), raffigurò donne ateniesi che scioperano dal sesso per imporre la pace. Dietro la satira, però, emerge la denuncia delle sofferenze femminili in guerra: vedovanze ripetute, matrimoni negati, solitudini forzate. Un ritratto più realistico della condizione femminile di quanto l’autore probabilmente immaginasse.

Né sante né peccatrici
La tragedia greca restituì invece le ansie legate al matrimonio. Nella perduta opera Tereo di Sofocle, la regina Procne racconta lo smarrimento del primo rapporto sessuale in un’unione imposta: un passaggio traumatico per molte giovani spose delle élite.
In questo mosaico di voci, colpisce la lettera attribuita a Teano, filosofa pitagorica: “Una donna deve deporre la vergogna insieme alle vesti entrando nel letto del marito, e riprenderla soltanto al risveglio”. Autentica o meno, riflette un consiglio di complicità femminile che attraversa i secoli.
Infine, se poetesse come Sulpicia o l’enigmatica “Lesbia” parlarono d’amore più che di sesso, il messaggio resta chiaro: le donne dell’antichità non erano né sante né peccatrici, ma individui capaci di desiderio, passione e autonomia emotiva.