Creso tra ricchezza e felicità

By Paolo Bonanni 21 Agosto 2025 #Creso

(Les Echos) La storia di Creso è un monito eterno: la ricchezza può aprire ogni porta, ma non protegge dalla sorte. E come recita l’antica massima, “l’oro non fa la felicità”.

“Ricco come Creso”. L’espressione, ancora oggi in uso in tutte le lingue europee, affonda le radici in una storia millenaria, quella di un re la cui immensa fortuna divenne leggenda, ma la cui vita si trasformò in una lezione di umiltà. Sovrano della Lidia tra il 560 e il 547 a.C., Creso non fu solo uno dei primi miliardari della storia, ma anche l’inventore del bimetallo: coniò le prime monete d’oro e d’argento puro, le famose créséidi, dando vita a un sistema monetario che rivoluzionò il commercio nell’antico Mediterraneo.

Figlio del re Aliatte, Creso salì al trono dopo una lotta fratricida in cui il rivale Pantaleone fu torturato a morte. A 35 anni ereditò un regno fiorente, arricchito dalle sabbie aurifere del fiume Pactolo — secondo la leggenda, contaminate dall’oro di Re Mida — e dal controllo delle miniere d’oro della Troade. Ma la vera genialità di Creso non fu accumulare ricchezze, bensì saperle mostrare. Mentre suo padre aveva donato un cratere d’argento al tempio di Delfi, Creso inviò un cratere d’oro, lingotti, vasi, un’enorme statua leonina in oro massiccio e persino una statua della sua fornaia, che gli aveva salvato la vita avvertendolo di un complotto. Fu anche a lui che si attribuisce il tempio di Artemide a Efeso, una delle sette meraviglie del mondo antico.

Sfarzo e potere

Questo sfarzo non era solo vanità: era potere. Le sue monete, coniate con precisione e purità garantita, divennero la valuta internazionale del Mar Egeo. Prima di Creso, si usava l’elettro, un lega naturale di oro e argento dal valore instabile. Lui introdusse il bimetallo puro, dando fiducia al sistema e facilitando gli scambi. Fu un genio economico.

Ma la ricchezza, per Creso, divenne anche una trappola. Convinto della propria invincibilità, decise di sfidare l’impero persiano nascente guidato da Ciro il Grande. Interrogò l’oracolo di Delfi, che gli rispose: “Se farai guerra ai Persiani, distruggerai un grande impero”. Creso interpretò la profezia come una promessa di vittoria. Non immaginava che l’impero da distruggere fosse il suo.

Nel 547 a.C., dopo uno scontro inconcludente in Cappadocia, si ritirò a Sardi, la sua capitale, credendo che Ciro rispettasse la tregua invernale. Ma il re persiano era un stratega più abile: marciò su Sardi senza indugio, sconfisse l’esercito lidio e assediò la città, che cadde in soli quattordici giorni.

Il mito della morte

La fine di Creso è avvolta nel mito. Secondo Erodoto, fu catturato e condannato al rogo. Mentre le fiamme si alzavano, gridò il nome di Solone, il saggio ateniese che anni prima gli aveva detto: “Non chiamare mai felice un uomo finché non ne vedi la fine”. Colpito da quella lezione di umiltà, Ciro fermò l’esecuzione, risparmiò Creso e lo prese come consigliere. Il re più ricco del mondo aveva perso tutto: il regno, il figlio Ardys, morto in un incidente di caccia, e le sue immense ricchezze. Ma aveva guadagnato la saggezza.

Social Media Auto Publish Powered By : XYZScripts.com