Corsa all’oro degli abissi

(Financial Times) Gli Stati Uniti guidano la nuova era dell’estrazione mineraria marina, tra ambizioni e controversie.

In un deposito di nichel a Hachinohe, nel nord del Giappone, figure di spicco dell’industria mineraria mondiale si sono riunite per osservare da vicino il frutto di un’ambiziosa impresa: l’estrazione di minerali dalle profondità marine.  L’evento ha visto rappresentanti di colossi come Mitsubishi Corporation e Glencore, gruppi metallurgici cinesi e coreani, e il produttore giapponese di batterie Panasonic Energy, tutti intenti ad ammirare campioni di minerale nero e lucenti cubi di metallo, estratti a 4.000 metri di profondità nell’Oceano Pacifico.   

L’estrazione mineraria in alto mare, un concetto esplorato per oltre un secolo, si sta rapidamente trasformando da fantasia a realtà. L’idea di recuperare minerali preziosi dai fondali oceanici ha affascinato gli scienziati sin dalla scoperta dei primi giacimenti. Tuttavia, le sfide tecniche ed economiche legate all’operatività in un ambiente così ostile, unite ai timori per l’impatto ambientale su ecosistemi fragili e poco conosciuti, hanno finora frenato lo sviluppo su larga scala di questa pratica.   

Trump e l’ordine esecutivo

Nonostante le difficoltà, la crescente domanda di minerali per batterie, reti elettriche e produzione di acciaio, e le tensioni geopolitiche che evidenziano la dipendenza da catene di approvvigionamento dominate dalla Cina, hanno riportato l’attenzione sull’estrazione mineraria marina. Recentemente, Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo per promuovere una “corsa all’oro” in alto mare. L’ordine presidenziale prevede l’emissione di licenze per l’estrazione mineraria in acque internazionali e la possibile creazione di scorte strategiche di metalli marini.   

Questa mossa ha suscitato forti reazioni da parte della Commissione Europea e della Cina, che hanno contestato la legittimità delle licenze al di fuori del quadro normativo stabilito dall’Autorità Internazionale dei Fondi Marini (ISA), l’organismo delle Nazioni Unite preposto alla regolamentazione delle attività minerarie in acque internazionali. Negli Stati Uniti, la controversia ha acceso il dibattito politico, con voci critiche che definiscono l’estrazione mineraria marina un’impresa “ad alto rischio e basso rendimento” e che temono danni irreparabili agli ecosistemi oceanici.   

Una lunga storia

La storia dell’estrazione mineraria marina affonda le sue radici nelle spedizioni scientifiche del XIX secolo, quando i ricercatori dell’HMS Challenger scoprirono “peculiari corpi ovali neri” sul fondo dell’oceano, rivelatisi ricchi di metalli. Questi noduli polimetallici, formatisi nel corso di milioni di anni dall’accumulo di metalli attorno a detriti sul fondo marino, rappresentano una potenziale risorsa di nichel, cobalto, rame e manganese.   

I primi tentativi di sfruttare questi giacimenti risalgono agli anni ’70, quando la società statunitense Deepsea Ventures condusse test di estrazione al largo della Carolina del Nord. Tuttavia, il contesto normativo incerto e il crollo dei prezzi dei metalli resero l’impresa poco attraente. La moderna industria dell’estrazione mineraria marina è nata negli anni 2010, spinta dalla crescente domanda di metalli per la transizione verde.   

Oggi, aziende come TMC e Global Sea Mineral Resources sono all’avanguardia in questo settore, sviluppando tecnologie per la raccolta dei noduli dal fondo marino. Mentre i sostenitori dell’estrazione mineraria marina ne sottolineano il potenziale per diversificare le fonti di approvvigionamento di minerali critici e ridurre la dipendenza dalla Cina, le preoccupazioni ambientali rimangono al centro del dibattito.

Social Media Auto Publish Powered By : XYZScripts.com