(New York Times) Mentre Pechino domina mercati globali con pannelli solari, auto elettriche e batterie, Washington rilancia trivellazioni e gas per garantirsi potere geopolitico.
Mentre il pianeta affronta l’urgenza del cambiamento climatico, Stati Uniti e Cina, le due superpotenze mondiali, si sfidano su fronti energetici opposti, guidati più da interessi economici e di sicurezza nazionale che da preoccupazioni ambientali.
Pechino ha scelto la via delle energie pulite: nel 2024 ha installato più pannelli solari e turbine eoliche che il resto del mondo messo insieme, e ha portato la sua industria green all’estero con investimenti in Brasile, Thailandia, Marocco e Ungheria. La Cina domina già la produzione globale di batterie, auto elettriche, pannelli solari e turbine eoliche, e ha registrato quasi 700.000 brevetti nel settore delle energie pulite, più della metà del totale mondiale.
A differenza degli Stati Uniti, la Cina non dispone di grandi riserve interne di petrolio e gas. Questa vulnerabilità, resa evidente anche da tensioni in Medio Oriente, spinge Pechino a ridurre la dipendenza dai combustibili fossili importati, scommettendo su un futuro alimentato da elettricità a basso costo generata da sole e vento. Parallelamente, la Cina limita l’export di materiali strategici, come i magneti in terre rare, rafforzando così il proprio vantaggio competitivo.

La dominanza energetica
Negli USA, invece, l’amministrazione Trump ha scelto di rilanciare l’industria fossile. Washington sta spingendo alleati come Giappone e Corea del Sud a investire miliardi per comprare gas naturale americano, mentre colossi industriali come General Motors hanno cancellato progetti per motori elettrici per investire invece nei tradizionali V-8 a benzina. Trump punta a mantenere il mondo “dipendente” da petrolio e gas made in USA, parlando di “dominanza energetica” come leva geopolitica.
I dati commerciali del 2023 confermano il divario: la Cina ha esportato 40 miliardi di dollari in pannelli solari, contro soli 69 milioni dagli USA; 38 miliardi di auto elettriche contro 12 miliardi americani; e 65 miliardi in batterie al litio contro 3 miliardi dagli USA. Al contrario, Washington primeggia nell’export di petrolio (117 miliardi) e gas naturale (42 miliardi).

La decarbonizzazione globale
Le scelte strategiche dei due giganti hanno conseguenze globali. L’energia fossile resta il principale motore economico mondiale, ma alimenta anche la crisi climatica che minaccia eventi estremi, innalzamento dei mari e crisi alimentari. La transizione verso fonti rinnovabili è considerata indispensabile dalla comunità scientifica, ma l’approccio americano rischia di rallentarla.
La Cina, invece, grazie ai costi bassi dei propri prodotti, rende le tecnologie pulite accessibili anche a Paesi emergenti come Brasile e Sudafrica, accelerando la decarbonizzazione globale. La sua leadership non nasce solo dall’attenzione climatica: è frutto di una strategia avviata vent’anni fa per motivi di sicurezza energetica e sviluppo industriale. Con ingenti sussidi pubblici, Pechino ha creato colossi come CATL, oggi leader mondiale nelle batterie, e ha costruito gigantesche fabbriche e centrali solari che cambiano gli equilibri industriali globali.
Al contrario, gli USA hanno alternato investimenti e disimpegni. Negli anni ’70 pionieri nel fotovoltaico, hanno perso slancio anche per il peso della lobby fossile e per scandali come il fallimento di Solyndra, che ha frenato la politica industriale verde.

Economia a basse emissioni
Ora la Cina usa la sua “soft power” verde per stringere alleanze globali: costruisce impianti eolici in Kenya, fabbriche di auto elettriche in Indonesia e centrali nucleari in Pakistan, mentre gli USA preferiscono accordi più “transazionali”, vendendo armi e carburanti fossili. Anche in Arabia Saudita, storica patria del petrolio, Pechino realizza uno dei più grandi progetti di batterie al mondo.
Secondo gli analisti, se questa tendenza continuerà, la Cina guiderà l’economia a basse emissioni, mentre gli USA rischiano di restare legati a un modello fossile sempre meno competitivo. La domanda ora per l’America è: dove vuole andare? Così, mentre Pechino costruisce l’energia del futuro, Washington rischia di perdere terreno, con implicazioni economiche, climatiche e geopolitiche che segneranno i prossimi decenni.