(Liberation) La sociologia del cibo: le abitudini alimentari sono uno specchio preciso delle stratificazioni sociali.
Nel suo libro “Distinctions alimentaires”, la sociologa francese Faustine Régnier svela come le abitudini alimentari e le scelte in fatto di alimentazione — preferire le lenticchie alla carne, mangiare bio, coltivare un orto — non sono semplicemente questione di gusto o di sensibilità politica, ma riflettono l’appartenenza o l’aspirazione a determinate classi sociali.
Uno dei principali punti di frattura tra le classi sociali francesi ruota attorno al consumo di carne. Se per decenni la carne è stata emblema del “ben-mangiare” e del successo, oggi questo alimento subisce una progressiva svalutazione legata tanto alle ricadute sulla salute — come segnalato dall’OMS nel 2015 riguardo i rischi dei consumi eccessivi di carne rossa — quanto alle tematiche ambientali. Tuttavia, la carne mantiene un valore simbolico forte nelle classi popolari, dove è vista come fonte di piacere, virilità e garanzia di una buona crescita per i figli. Diversamente, tra le classi più agiate, la scelta di ridurne il consumo risponde a logiche di controllo, distinzione e attenzione alla salute.

L’ecologia è una questione di ceto?
L’adesione a pratiche ecologiche — mangiare meno per il pianeta, scegliere prodotti bio o a chilometro zero — resta prerogativa delle classi più abbienti e può essere percepita come “roba da ricchi”. Nei contesti di maggiore precarietà, le preoccupazioni sono rivolte alla sopravvivenza quotidiana, rendendo le istanze green meno prioritarie. C’è però la presenza, spesso invisibile, di saperi popolari in ambito alimentare: l’orto, l’attenzione agli sprechi, la sobrietà forzata sono strategie diffuse che meritano riconoscimento sociale. Nonostante ciò, l’urbanizzazione delle giovani generazioni rischia di far perdere questi patrimoni.

La dieta come strumento di distinzione
Nelle classi medie, l’alimentazione ascetica assume una funzione di frontiera: chi teme il declassamento sociale adotta comportamenti alimentari restrittivi per segnare la distanza da chi è più povero, l’obesità, infatti, resta più diffusa nelle fasce meno abbienti. “Restare magri e mangiare bene” diventa così una manifestazione di disponibilità economica, mentre nei ceti elevati salute e controllo alimentare sono ormai interiorizzati e quasi automatici.
Le donne delle professioni intermedie, in particolare, subiscono una pressione maggiore a conformarsi alle norme, rincorrendo modelli alimentari delle élite, spesso faticosi da sostenere per motivi di tempo e risorse.
I senior, indipendentemente dal ceto sociale, risultano più fedeli a una dieta a base di frutta e verdura fresca, privilegiando piatti cucinati in casa ed evitando cibi ultraprocessati. Questa tendenza affonda le radici in una socializzazione ancora rurale e in abitudini acquisite prima del boom dell’industria agroalimentare. I valori di convivialità, cucina e tempo dedicato ai pasti si trasmettono con più difficoltà alle nuove generazioni.