(Les Temps) Un tempo considerato una meta accessibile e affascinante per turisti, lavoratori nomadi ed espatriati, il Paese sta vivendo una crisi economica senza precedenti.
Quello che a fine 2023 costava 100 dollari oggi costa 175, un aumento vertiginoso che sta allontanando visitatori e residenti internazionali. Questo fenomeno, definito “inflazione del dollaro”, è il risultato di una serie di misure adottate dal governo per contrastare l’inflazione galoppante, ma che stanno avendo effetti collaterali devastanti sull’economia e sul turismo.
Fino a pochi mesi fa, l’Argentina era un sogno a buon mercato per chiunque volesse vivere o visitare il Paese. A dicembre 2023, prima dell’insediamento del presidente Javier Milei, con 300 dollari al mese si poteva coprire il paniere della spesa di una famiglia, cenare in un ristorante per 10 dollari, prendere un autobus per 10 centesimi o affittare una camera d’albergo a tre stelle per 20-30 dollari a notte. Questi prezzi stracciati avevano trasformato il Paese in una destinazione privilegiata per viaggiatori e nomadi digitali, soprattutto provenienti da Europa e Nord America.

Inflazione al 25% mensile
La svalutazione del peso e l’impennata dei prezzi hanno cambiato tutto. A gennaio e febbraio 2024, l’inflazione ha raggiunto picchi del 25% mensile, per poi stabilizzarsi intorno al 3% a fine anno, con un aumento complessivo superiore al 100%. Il risultato? Un pasto che costava 10 dollari a dicembre 2023 oggi ne costa quasi il doppio, e lo stesso vale per trasporti, alloggi e beni di prima necessità.
Le conseguenze di questa inflazione sono immediate e drammatiche. Durante l’estate australe, le presenze turistiche sono crollate del 21%, mentre il numero di argentini in vacanza all’estero è aumentato del 70%. Un colpo durissimo per un settore che rappresenta circa il 9% del PIL del Paese.

Fuggono turisti, espatriati e nomadi digitali
Ma non sono solo i turisti a fuggire. Anche molti espatriati e lavoratori nomadi, che avevano scelto l’Argentina per il basso costo della vita, stanno lasciando il Paese. Leandro, uno studente brasiliano arrivato nel 2019 per studi medici, racconta: “Quando sono arrivato, 600 real brasiliani mi bastavano per vivere qui. Ora faccio fatica a cavarmela con 3000”. Storie simili si moltiplicano sui social network, dove turisti spagnoli si lamentano di prezzi più alti che in Europa: “Dov’è il modulo per presentare una denuncia?”, chiede indignato uno di loro in un video virale.
Questa situazione economica insolita è il risultato di una strategia governativa basata su tre pilastri: l’ancoraggio inflazionistico, quello fiscale e quello monetario. Il primo fissa il tasso di cambio del dollaro ufficiale al di sotto dell’inflazione, scoraggiando l’acquisto di valuta estera. Il secondo impone drastici tagli alla spesa pubblica per ridurre il deficit, mentre il terzo blocca l’emissione di nuova moneta.
L’amnistia fiscale non è bastata
La stabilità del dollaro è stata resa possibile da un’amnistia fiscale che ha riportato in Argentina 19 miliardi di dollari nel 2024. Tuttavia, questa strategia ha un prezzo: la sopravvalutazione del peso favorisce le importazioni a scapito della produzione locale, già in crisi a causa della recessione. La disoccupazione è in aumento e la pressione sul dollaro rischia di diventare insostenibile.
Il governo di Milei si trova ora in una corsa contro il tempo. Se l’economia riparte, il presidente avrà vinto la sua scommessa. Ma se il dollaro dovesse crollare, la sopravvivenza stessa del suo esecutivo potrebbe essere a rischio.