Amanda Knox e la giustizia tv

(Bbc) La serie “The Twisted Tale of Amanda Knox” racconta il suo dramma giudiziario, ma rischia di oscurare la vittima vera: Meredith Kercher. Un racconto che riapre ferite senza dare voce a chi non ce l’ha più.

La nuova serie tv “The Twisted Tale of Amanda Knox”, disponibile su Disney+ dal 20 agosto, riporta in primo piano uno dei casi giudiziari più mediatici del XXI secolo. Ma a 17 anni dall’omicidio di Meredith Kercher, la domanda sorge spontanea: serve davvero raccontare ancora questa storia?

Il dramma, prodotto da Amanda Knox stessa insieme a Monica Lewinsky, si propone di “riprendersi la narrazione” dopo anni di ingiustizia, quando fu condannata per un crimine che non aveva commesso. Arrestata nel 2007 in Italia insieme al fidanzato Raffaele Sollecito per l’omicidio della coinquilina britannica Meredith Kercher, Knox trascorse quasi quattro anni in carcere prima di essere definitivamente assolta dalla Corte Suprema italiana nel 2015. Il vero responsabile, Rudy Guede, fu condannato con rito abbreviato e scontò 13 anni di pena.

Una storia con troppe falle

La serie ripercorre il calvario di Knox: un’indagine con “falle sconcertanti”, come definita dalla stessa Corte, e un processo mediatico feroce che la dipinse come “Foxy Knoxy”, una ragazza sessualmente deviante coinvolta in un rito satanico. Oggi, Knox vuole mostrare il suo lato della storia. Ma nel farlo, il racconto rischia di dimenticare chi la storia non può raccontarla: Meredith Kercher.

Già nel tono, la serie delude. Nonostante la gravità del crimine, adotta uno stile leggero, quasi grottesco, con scene in stile “Amélie”, orsi di peluche che applaudono e una narrazione in prima persona irriverente, tipica delle serie true crime per un pubblico giovane. L’effetto è fuori luogo: mentre si parla di un omicidio brutale, la regia sembra flirtare con il kitsch, banalizzando il dolore.

Il vero problema, però, è il punto di vista. La serie è tutta centrata su Knox, sulle sue emozioni, sul suo trauma. Eppure, ci sono due vittime in questa storia: una è sopravvissuta, l’altra no. Meredith Kercher scompare progressivamente dal racconto, ridotta a una nota a margine.

Lutto e redenzione

Anche nel breve tributo finale, dove appare un video di lei sorridente in vacanza, è ancora Knox a parlare: “Ero io la fortunata quella sera”, dice in voiceover. “Non ho mai avuto il tempo di piangerla… Ora piango per tutte e due”. Un messaggio che rischia di trasformare il lutto di un’altra in un capitolo della propria redenzione. La famiglia di Meredith, che ha espresso pubblicamente il suo disagio, non è stata coinvolta nella produzione. “È difficile capire a cosa serva tutto questo”, aveva detto la sorella Stephanie durante le riprese.

È vero: Knox ha subito un’ingiustizia, e il desiderio di riscatto è comprensibile. Come per Britney Spears, Monica Lewinsky o Tonya Harding, anche in questo caso si parla di “riappropriazione della narrazione”. Ma quando il racconto di una vittima oscura quella di un’altra, il confine tra giustizia e spettacolo si fa sottile.

La serie avrebbe potuto essere un’occasione per riaffermare una verità semplice: Guede è il colpevole, Knox è innocente. Invece, sceglie la via del melodramma, con una sceneggiata finale in chiesa tra Knox e il pm Mignini (che si commuove e grida al cielo: “Dio sa che soffriamo entrambi”).

Social Media Auto Publish Powered By : XYZScripts.com